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Consiglio di Stato sez. IV, 14 maggio 2014 (ud. 08/04/2014 , dep.14/05/2014), n. 2499 - Testo integrale

REPUBBLICA ITALIANA
" IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
" Il Consiglio di Stato
" in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
" ha pronunciato la presente
" SENTENZA
" sul ricorso numero di registro generale 7978 del 2010, proposto da:
" Comune di Besana in Brianza, in persona del legale rappresentante in
" carica rappresentato e difeso dall'avv. Umberto Fantigrossi, con
" domicilio eletto presso Giuseppe Placidi in Roma, via Cosseria N. 2;
" contro
" Aqvasport Soc. Coop. e Turra Srl, in persona del legale
" rappresentante in carica rappresentato e difeso dagli avv. Leopoldo
" Melli, Maurizio Zoppolato, Federico Zanichelli, con domicilio eletto
" presso Maurizio Zoppolato in Roma, via del Mascherino 72;
" nei confronti di
" Mariangela Bonfanti, Aurelio Sala, Bottega Gatti di Gatti Fabrizio,
" Vibe Sas di Giulino Franco, D'Ivi di Romano Ivana, Color Pink di
" Mozzanica & C. Snc, Vittoria Brambilla, Rita Sironi, Davide
" Galimberti, Presidente Consiglio dei Ministri, Presidente della
" Repubblica, Roberto Villa; Ministero delle Infrastrutture e dei
" Trasporti, in persona del legale rappresentante in carica,
" rappresentato e difeso dalla Avvocatura Generale dello Stato, presso
" i cui uffici in Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12, è domiciliato per
" legge;
" per la riforma
" della sentenza del T.A.R. della LOMBARDIA - MILANO- SEZIONE I n.
" 03937/2009, resa tra le parti, concernente approvazione piano
" triennale opere pubbliche - realizzazione impianto natatorio comunale
" Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
" Visti gli atti di costituzione in giudizio di Aqvasport Soc. Coop. e
" Turra Srl e di Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti;
" Viste le memorie difensive;
" Visti tutti gli atti della causa;
" Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 aprile 2014 il
" Consigliere Fabio Taormina e uditi per le parti gli Avvocati
" Paoletti, per delega dell'Avv. Fantigrossi, e Petronella, per delega
" dell'Avv. Zoppolato, e l'Avvocato dello Stato Isabella Bruni;
" Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO
Con la sentenza parziale in epigrafe appellata il Tribunale amministrativo regionale della Lombardia - sede di Milano - ha accolto il ricorso di primo grado proposto dall' odierna parte appellata Aqvasport Soc. coop.va e Turra Srl, volto ad ottenere l'annullamento della delibera di Giunta Comunale della Città di Besana in Brianza n.219 del 14 ottobre 2008, della delibera del Consiglio Comunale della Città di Besana in Brianza n.63 del 14 ottobre 2008, della nota prot. 33083 del 14 ottobre 2008 (ricevuta il 20 ottobre successivo) con la quale il Responsabile del Servizio Lavori Pubblici della Città di Besana in Brianza aveva comunicato le predette delibere e di ogni altro provvedimento e/o atto antecedente, presupposto, conseguente e comunque connesso ivi compreso il Decreto del Presidente della Repubblica in data 23 novembre 2007 con il quale era stato accolto il ricorso proposto in data 1° aprile 2004 avverso le delibere di C.C. della Città di Besana in Brianza n.11/02 e 71/03, ed il relativo parere della Sez. II del Consiglio di Stato e comunque per il risarcimento dei danni subiti in conseguenza dei gravati provvedimenti e/o della complessiva condotta tenuta dalla Città di Besana in Brianza nell'ambito della vertenza oggetto del contendere.
La società originaria ricorrente aveva riepilogato il complesso contenzioso intrattenuto con l'amministrazione comunale ed aveva sostenuto che le plurime illegittimità da questa perpetrate rendessero doveroso il riconoscimento della spettanza della tutela risarcitoria.
In particolare, l'operato dell'Amministrazione si era contraddistinto nella pervicace volontà di impedire con ogni mezzo la realizzazione di un complesso immobiliare che essa, in passato, si era impegnata ad assentire, posto che con delibera n. 174/01 del 3.10.2001 il Consiglio Comunale di Besana in Brianza aveva approvato il piano triennale delle opere pubbliche includendovi un impianto natatorio da realizzare in finanza di progetto, ricomprendendo la stima della spesa per la realizzazione dell'opera nel bilancio di previsione approvato con delibera n. 11/2002e che con delibera di C.C. n. 54/02 aveva aggiornato il succitato programma triennale, con la variazione in aumento della spesa per la realizzazione del centro natatorio, pari ad euro 5.371.850.00.
La ditta originaria ricorrente aveva dedotto numerose censure di violazione di legge ed eccesso di potere.
In particolare, aveva rammentato che il 27 dicembre 2002 essa aveva presentato una proposta per la realizzazione dell'opera, approvata dall'amministrazione, a seguito di molteplici incontri e modifiche progettuali, con delibera di C.C. n. 71 del 28 novembre 2003, che valeva anche come adozione di variante al PRG comunale in relazione alla destinazione a centro commerciale di una porzione della complessiva area contemplata dal progetto.
Il 24 marzo 2004 l'Ente Parco Valle Lambro aveva espresso parere favorevole condizionato all'esclusione della destinazione per funzione di centri commerciali, ed anche la Provincia di Milano aveva espresso parere di compatibilità condizionata con il PTCP.
Il primo aprile 2004 alcuni soggetti avevano proposto ricorso straordinario al Presidente della Repubblica contro la delibera di prima approvazione della proposta (la n. 71/03) e avverso la delibera di approvazione del bilancio 2002 (la n. 11/02), lamentando l'incompatibilità di tali provvedimenti con le NTA del Parco Valle Lambro e con i loro interessi economici in virtù della succitata destinazione a centro commerciale.
Il 28 aprile 2004 il comune, con delibera n. 38/04, dato atto del parere dell'Ente Parco e dell'avvenuta proposizione del ricorso straordinario, aveva deciso di uniformarvisi, approvando in via definitiva il progetto dell'opera pubblica e la connessa variante urbanistica "escluse le funzioni di centro commerciale", facendo salva la facoltà del preponente di insediare, in alternativa a quello, un centro destinato, in via esclusiva, ad attività strettamente attinenti allo sport e/o ricreative, e chiedendo all'ATI proponente la formale adesione alle modifiche progettuali in data 28 maggio 2004.
La originaria aveva fatto pervenire la detta adesione nel luglio successivo.
Senonché inopinatamente, con nota del 21 gennaio 2005 il Comune aveva comunicato al Ministero competente per l'istruttoria del ricorso straordinario di aver deliberato la rinuncia alla difesa dell'ente sulla base della parziale condivisione delle motivazioni addotte dai ricorrenti, non ritenendo opportuno realizzare il centro commerciale annesso alla piscina.
A seguito di una serrata interlocuzione infraprocedimentale (diffide dell'ATI ricorrente all'amministrazione comunale, volte alla definizione della procedura, rimaste senza esito sostanziale)con nota del 18 gennaio 2007 il comune aveva comunicato all'ATI di aver annullato le delibere consiliari n. 71/03 e 38/04 ritenendo incompleta la loro proposta ed illegittime le relative delibere di approvazione.
Esse erano insorte avverso il detto atto di autotutela, ed il Tar (sentenza n. 1279 del 2 maggio 2008) aveva accolto il mezzo evidenziando che sotto le spoglie di un annullamento di delibere asseritamene illegittime, si celava il mutato avviso circa l'opportunità dell'opera proposta (avviso al quale si sarebbe potuto dar seguito solo previa adeguata istruttoria e motivazione e con indennizzo delle promotrici).
Con le delibere n. 219 e 63 del 14 ottobre 2008, oggetto di impugnazione, il comune aveva asseritamente preso atto di un preteso effetto di automatica caducazione delle delibere n. 54/02 (di riapprovazione del programma delle opere pubbliche per il triennio 20022004 e di aggiornamento dell'importo dell'opera in questione) e 38/04 (di approvazione definitiva della proposta dell'ATI e della connessa variante) spiegato dal decreto di accoglimento del ricorso straordinario ed aveva (nuovamente) concluso che, in ragione di tale caducazione, il procedimento di project financing doveva ritenersi definito in termini negativi.
Ciò, ad avviso dell'ATI non costituiva altro che il pretesto per non realizzare l'opera neppure con le modifiche alle quali essa aveva prestato adesione.
Il Tar - disattese le preliminari eccezioni di improcedibilità e di inammissibilità del ricorso sollevate con riferimento all'adozione da parte del comune di un nuovo PGT che non avrebbe ammesso l'insediamento di alcuna volumetria commerciale sul sito di specie alla stregua della circostanza che l'accertamento parentetico richiesto era indispensabile per la delibazione del petitum risarcitorio - ha accolto il mezzo.
Il primo giudice ha premesso di volersi conformare all'insegnamento giurisprudenziale secondo il quale nel procedimento di formazione degli strumenti urbanistici, la delibera di adozione e quella di approvazione si pongono su un piano di distinta autonomia.
Doveva quindi ritenersi ammissibile la diretta impugnazione di un provvedimento di adozione del PRG qualora esso fosse immediatamente lesivo, e l'omessa impugnazione del provvedimento di approvazione di un PRG non determinava alcuna preclusione all'ammissibilità del ricorso proposto per l'annullamento della delibera di adozione dello strumento urbanistico.
Quest'ultima esplicava, però, effetti automaticamente caducanti sul successivo provvedimento di approvazione solo nella parte in cui lo stesso si limitava a confermare le previsioni già contenute nel piano adottato e fatto oggetto di impugnativa.
Trasponendo i succitati principi nella fattispecie in questione, ne discendeva, ad avviso del primo giudice, che l'accoglimento del ricorso straordinario proposto avverso la delibera di adozione di variante urbanistica (n. 71/04) poteva esplicare automatica efficacia caducante sulla successiva delibera di approvazione (la n. 38/04) esclusivamente in relazione alla parte in cui quest'ultima si limitava a confermare le previsioni già contenute nella variante adottata e annullate a seguito dell'impugnativa, ma non riguardo alla porzione contenente previsioni che si discostavano dalle prime proprio per averne riconosciuta l'intrinseca illegittimità.
Id est: le modifiche preconizzavano (ed erano proprio mirate a prevenire) la futura declaratoria di illegittimità della originaria versione della variante, esse non erano travolte dall'accoglimento del ricorso straordinario.
Ne conseguiva quindi che la delibera di approvazione della variante urbanistica n. 38/04, modificando la proposta progettuale dell'opera in questione rispetto a quella risultante dalla delibera di adozione della variante proprio in relazione all'adesione alle osservazioni formulate nel ricorso straordinario e nel parere dell'Ente Parco relativamente alla contrarietà del centro commerciale con la normativa urbanistica locale vigente, non poteva in alcun modo ritenersi automaticamente caducata, rispondendo, al contrario, proprio alle succitate esigenze manifestatesi, che avevano indotto il comune a desistere dalla difesa in considerazione delle modifiche progettuali approvate, consistenti nello stralcio del centro commerciale e nella previsione della sola facoltà del preponente di insediare un centro destinato, in via esclusiva, ad attività strettamente attinenti allo sport e/o ricreative.
Da tali considerazioni, valide a maggior ragione con riferimento alla delibera n. 54/04, di mera riapprovazione del programma triennale con aggiornamento dell'importo relativo all'opera in questione, discendeva -ad avviso del Tar- l'illegittimità dei provvedimenti gravati, con i quali il comune aveva preteso di ricavare dall'annullamento delle delibere n. 71/03 e 11/02 per effetto dell'accoglimento del ricorso straordinario un automatico effetto caducante delle delibere n. 54/04 e 38/04.
Il Tar ha poi constatato che non era praticabile ormai alcuna forma di tutela ripristinatoria residuando unicamente la possibilità di un mero risarcimento del danno per equivalente: la pretesa della ricorrente di realizzare il progetto approvato con la delibera n. 38/04 non era in alcun modo realizzabile allo stato attuale in quanto con deliberazioni n. 45 del 26 giugno 2008 e n. 46 del 27 giugno 2008, il comune di Besana in Brianza aveva approvato il Piano di Governo del Territorio (precedentemente adottato con deliberazione n. 63 del 23 dicembre 2007), entrato in vigore il 27 agosto 2008, che aveva sostituito gli strumenti urbanistici precedenti.
Tale strumento urbanistico, non impugnato dall'ATI, aveva disciplinato il sito in questione azzonandolo ad "area per attrezzature sportive", ove erano previsti impianti per lo sport agonistico, palestre, piscine, palazzetti per lo sport, ma non era prevista in alcun modo la possibilità di insediamenti di volumetria commerciale, neanche strettamente attinenti allo sport e/o ad attività ricreative.
Esclusa la praticabilità di un risarcimento in forma specifica, ritenuto integrato il presupposto della colpa in capo all'amministrazione ed insussistente ogni dubbio sul verificarsi di danni economici per l'ATI il Tar ha rinviato la liquidazione dei danni ad una decisione successiva, in considerazione dalla incompletezza del materiale probatorio allo stato versato in atti.
Con la successiva decisione definitiva n. 1895/2010,, il Tar ha quantificato il danno risarcibile nella misura di Euro 334.891, oltre alla rivalutazione monetaria ed agli interessi da computarsi nella misura legale dalla data di pubblicazione della sentenza al saldo
La odierna parte appellante principale, già resistente rimasta soccombente nel giudizio di prime cure, ha proposto una articolata critica alla sentenze in epigrafe chiedendone la riforma.
Ha ripercorso il contenzioso intercorso ed ha sostenuto che il Tar non aveva colto la correttezza dell'azione amministrativa intrapresa dal Comune e che in ogni caso, ove avesse realizzato (come poteva) la piscina, l'appellata avrebbe comunque potuto soddisfare le proprie aspettative imprenditoriali.
L'appellante ha poi contestato che fosse ravvisabile alcuna colpa; ha sostenuto che la sopravvenuta disciplina urbanistica impeditiva della realizzabilità dell'opera e rimasta inimpugnata spezzasse - a tutto concedere- il nesso di causalità tra la condotta ed il danno lamentato; si è genericamente doluta della quantificazione dell'importo.
Con successive memorie ha ribadito e puntualizzato le dette censure.
L'appellata ha gravato la sentenza definitiva con appello incidentale sotto il profilo della quantificazione del danno ed ha riproposto le censure di primo grado assorbite dal Tar.
All'udienza camerale del 5 novembre 2013 la Sezione con la ordinanza n. 04364/2013
ha respinto l'istanza di sospensione della esecutività della impugnata decisione alla stregua della considerazione per cui "stante la fluidità della situazione e la disponibilità offerta da parte appellata appare corretto subordinare il diniego del richiesto provvedimento cautelare alla prestazione, a carico della odierna parte appellata, di adeguata garanzia a tutela delle ragioni di danno della controparte amministrazione comunale, secondo le seguenti modalità:
la garanzia sarà fornita tramite fideiussione bancaria a prima richiesta scritta da parte del beneficiario, ossia della parte appellante Comune di Besana Brianza per un valore garantito pari ad Euro.370000 (euro trecentosettantamila) e con validità fino alla conclusione del procedimento giurisdizionale dinanzi al Consiglio di Stato;
il contratto di fideiussione bancaria disporrà che l'escussione della garanzia a prima richiesta scritta da parte del beneficiario sia subordinata alla contestuale comunicazione della decisione conclusiva del procedimento giurisdizionale dinanzi al Consiglio di Stato e che l'escussione avvenga nei limiti della somma indicata nella detta decisione conclusiva come quella dovuta a titolo di danni e di rimborso per spese di giustizia;
l'originale del contratto di fideiussione sarà notificato, unitamente al presente decreto, al soggetto beneficiario, mentre copia del documento stesso sarà versata agli atti di questa Sezione;".
Tutte le parti processuali hanno depositato memorie insistendo nelle rispettive conclusioni e deduzioni e puntualizzando le censure svolte.
Alla odierna pubblica udienza dell'8 aprile 2014 la causa è stata posta in decisione dal Collegio.
DIRITTO
1.L'appello principale è infondato e deve essere respinto, nei termini di cui alla motivazione che segue dal che consegue la improcedibilità dell'appello incidentale laddove sono stati riproposti i motivi del mezzo di primo grado assorbiti. Va invece dichiarato infondato l'appello incidentale nella parte in cui, gravando la sentenza definitiva resa dal Tar, intende sostenere che il risarcimento disposto avrebbe dovuto essere maggiormente cospicuo.
1.1. In ossequio al principio di cui all'art. 104 del cpa il Collegio prenderà in esame unicamente le doglianze e censure prospettate nell'atto di appello, e non anche tutte le argomentazioni "nuove" ivi non contenute e via via rappresentate da parte appellante nelle proprie memorie: ciò nella condivisione del principio, che costituisce jus receptum, secondo il quale può essere affidato alla memoria difensiva il solo compito di una mera illustrazione esplicativa dei precedenti motivi di gravame senza possibilità di ampliare il thema decidendum (ex aliis Cons. Stato Sez. IV, 26032013, n. 17159).
2.In ordine alla illegittimità dell'azione amministrativa spiegata dall'amministrazione comunale appellante non pare al Collegio possano sussistere dubbi.
Invero la sequenza cronologica e temporale che ha condotto all'adozione degli atti di autotutela gravati, e le motivazioni poste a sostegno dei medesimi, unitamente alla considerazione che un precedente atto di autotutela era stato annullato dal Tar inducono il Collegio a ritenere del tutto inaccoglibile la critica appellatoria.
Il punto dal quale occorre muovere è rappresentato dal principio -che costituisce jus receptum- secondo il quale l'omessa impugnazione della deliberazione approvativa della variante di un piano regolatore generale non determina l'improcedibilità del ricorso proposto contro la delibera comunale di adozione, in quanto l'eventuale annullamento di quest'ultima esplica effetti automaticamente caducanti, e non meramente vizianti, sul successivo provvedimento di approvazione.
Ciò però, soltanto nella parte in cui lo stesso ha confermato le previsioni già contenute nel piano adottato e fatto oggetto di impugnativa (cfr., da ultimo, Cons. St., sez. IV, 8 marzo 2010, n. 1361, e 23 luglio 2009, n. 4662).
Ove dette previsioni - come nel caso di specie- fossero state modificate, è evidente che detto effetto caducante non può verificarsi.
Il principio ha una portata più generale, e si estende ad ogni fattispecie in cui, nel corso di un procedimento giurisdizionale già avviato, sopravvenga una nuova statuizione amministrativa.
Ove quest'ultima abbia in nulla abbia modificato/innovato con riferimento alla fattispecie controversa, sarebbe inutile e senza ragione gravoso onerare il ricorrente ad impugnare nuovamente l'atto sopravvenuto, che in nulla immuta la res controversa: e di converso la sentenza intervenuta è idonea a produrre effetti anche in pregiudizio della nuova statuizione amministrativa, in parte qua rimasta immutata.
A specularmente diverse conclusioni, deve giungersi allorché, invece, l'atto sopravvenuto immuti il preesistente regime giuridico che aveva dato atto al contenzioso: il mezzo originario dovrebbe essere dichiarato improcedibile, in ipotesi di omessa tempestiva impugnazione di quello superveniens che ha determinato un assetto di interessi diverso, ed in ogni caso la sentenza pronunciata in relazione all'atto pregresso, "superato" da quello successivo non potrebbe spiegare effetti nei confronti di quest'ultimo.
Il tema è stato scandagliato funditus dalla giurisprudenza, interrogandosi in ordine alle conseguenze dell'atto superveniens rimasto inimpugnato in punto di procedibilità del gravame.
Avveduta giurisprudenza perimetra la possibilità che possa discendere la improcedibilità del ricorso originario, escludendo detto effetto nei casi di atto meramente confermativo, ma ammettendo tale conseguenza nel caso in cui (T.A.R. Lombardia Milano Sez. IV, 07092012, n. 2266 "deve essere dichiarata la improcedibilità del giudizio amministrativo ogni qualvolta si verifichi la sostituzione del provvedimento impugnato ad opera di altro atto, non meramente confermativo o elusivo, che modifichi la situazione di diritto e di fatto - in senso favorevole o no - in guisa tale da togliere al ricorrente ogni interesse in ordine alla legittimità dell'atto impugnato") si tratti di atto che, non meramente confermativo od elusivo, modifichi a seguito di una nuova delibazione l'assetto di interessi seppur comunque non in termini satisfattori per l'appellante.
La improcedibilità insomma, non discende dal "miglioramento" della situazione dell'originario ricorrente (miglioramento che potrebbe anche mancare) ma dalla rivalutazione della situazione.
E" noto, sul punto, il costante approdo della giurisprudenza (ex aliisCons. Stato Sez. III, 07052012, n. 2613) secondo il quale "sul soggetto che, pur non essendovi tenuto, abbia impugnato immediatamente ed in via autonoma il provvedimento di aggiudicazione provvisoria di una gara di appalto, grava l'onere di impugnare, in un secondo momento, anche l'aggiudicazione definitiva, pena l'improcedibilità del primo ricorso. L'aggiudicazione definitiva infatti non è un atto meramente confermativo od esecutivo di quella provvisoria, ma un provvedimento, che, anche quando recepisca integralmente i risultati dell'aggiudicazione provvisoria, postula una nuova ed autonoma valutazione, pur facendo parte della medesima sequenza procedimentale."
Ciò che rileva, quindi, non è l'approdo dell'atto, ma in cosa consista l'atto stesso.
Nel caso di specie non può dubitarsi del fatto che la delibera approvativa del PRG sostituisse quella precedente di adozione, modificandone addirittura singole parti (e per giunta al fine di "disinnescare", prevenendole, le conseguenze del proposto ricorso straordinario) di guisa che dall'accoglimento del ricorso straordinario non potevano discendere i pretesi effetti caducanti sul PRG approvato che hanno erroneamente condotto l'amministrazione a dispiegare dell'azione amministrativa di autotutela.
2.1.A fortiori -lo si ripete- ciò deve accadere nel caso di specie, laddove le modifiche apportate miravano proprio a "disinnescare" la impugnativa a mezzo di ricorso straordinario già proposta e volta ad avversare la delibera n. 71/2003, valevole anche come variante al Prg comunale, ove l'area era destinata a centro commerciale.
In proposito si rammenta infatti che la delibera n. 38 del 26.04.2004 aveva approvato in via definitiva il progetto dell' opera pubblica e la connessa variante urbanistica, consentendo al preponente l'edificazione di una struttura destinata in via esclusiva ad attività strettamente attinenti allo sport e/o ricreative (ed escludendo quindi la destinazione a centro commerciale).
Già con nota del 18.01.2007 il Comune di Besana Brianza aveva comunicato che con delibera consiliare n.75/2006 aveva proceduto ad annullare in autotutela le deliberazioni n. 71/03 e 38/04, ritenendo incompleta la loro proposta ed illegittime le relative delibere di approvazione per il contrasto con le norme del piano territoriale di coordinamento del Parco Valle del Lambro, le quali non consentivano l'insediamento sull'area in questione di funzioni commerciali.
Ma il TAR Milano con sentenza n. 1279 del 2008 aveva provveduto ad annullare detta eterminazione (delibera consiliare n.75/2006).
2.1.1. Sopravvenuto, in data 23.11.2007 il decreto decisorio del ricorso straordinario, comunicato il 10.01.2008, il Comune ha nella sostanza reiterato l'atto di ritiro.
Il Tar esattamente ha colto una illegittimità in dette determinazioni del Comune, ed uno sviamento rispetto alla causa: il Comune avrebbe ben potuto supportare l'atto di "ritiro" da una mutata considerazione dell'interesse pubblico (esponendosi, come è ovvio, ad una richiesta di indennizzo ex art. 21 quinquies della legge n. 241/1990).
Ciò ha voluto evitare, e contrariamente alle indicazioni in tal senso della (pacifica quanto consolidata, lo si ripete) giurisprudenza, ha "utilizzato" l'intervenuto annullamento in sede di ricorso straordinario per un fine improprio: l'illegittimità è quindi palese.
2.2. Nell'atto di appello, l'appellante amministrazione comunale muove dalla circostanza che con deliberazioni n. 45 del 26 giugno 2008 e n. 46 del 27.06.2008 era stato approvato il Piano di Governo del Territorio (precedentemente adottato con deliberazione n. 63 del 23 dicembre 2007), entrato in vigore il 27 agosto 2008 e che tale strumento urbanistico, non impugnato dalle appellate, non prevedeva sull'area in questione alcuna volumetria commerciale (diversamente da quanto ancora possibile anche dopo la delibera n. 38 del 26.04.2004 che pure aveva escluso la destinazione a centro commerciale) e tenta di sostenere che, contrariamente a quanto espresso nelle deliberazioni n. 219 e n. 63 del 14 ottobre 2008 gravate (laddove il Comune aveva preso atto del decreto presidenziale di annullamento delle delibere n. 11/02 e n. 71/03 e concluso che il procedimento di project financing doveva ritenersi definito in termini negativi) in realtà trattavasi di atto ricognitivo complessivo, che prendeva atto anche dei sopravvenuti strumenti urbanistici ostativi e che, pertanto, nessuna illegittimità poteva ravvisarsi.
2.2.In contrario avviso rispetto a quanto sostenutosi nell'appello, evidenzia il Collegio che proprio l'amministrazione comunale, attraverso due distinti atti di ritiro aveva reso impossibile la realizzazione del progetto: l'uno, già annullato dal Tar (con la sentenza n. 1279 del 2008 con cui era stata annullata detta la delibera consiliare n.75/2006); il secondo, attraverso le delibere annullate dal Tar con la sentenza non definitiva oggetto del primo motivo di appello.
Tale ultima delibera era (infondatamente, per come si è visto) motivata unicamente con l'intervenuto annullamento in sede di ricorso straordinario (ma quest'ultimo investiva soltanto le originarie previsioni, medio tempore modificate); tale condotta aveva reso impossibile la realizzazione del progetto durante tutto il periodo precedente alla sopravvenuta approvazione dei nuovi strumenti urbanistici.
Va quindi posto in luce che questi ultimi non spezzano assolutamente il nesso di causalità tra la reiterata condotta illegittima ed il danno arrecato ma che gli stessi (rectius: la omessa impugnazione dei medesimi) correttamente, sono stati valutati dal Tar in sede di quantificazione del danno (vedasi in proposito quanto affermato dal Tar nella sentenza definitiva n. della quale di seguito si riporta uno stralcio: "Deve, peraltro, rilevarsi che la società ricorrente ha omesso di impugnare il PGT approvato dall'amministrazione comunale nell'estate dell'anno 2008, nuovo strumento urbanistico che, destinando l'area di specie ad attrezzature sportive, non prevede in alcun modo la possibilità di insediamenti di volumetria commerciale, neanche strettamente attinenti allo sport e/o ad attività ricreative. Di conseguenza, la proposta dell'opera pubblica in questione, così come predisposta, non sarebbe stata in ogni caso più realizzabile.
Il collegio ritiene, dunque, di poter applicare alla fattispecie che ci occupa il disposto normativo di cui all'art. 1227, comma 1, c.c., che, disciplinando l'ipotesi in cui il fatto colposo del creditore danneggiato abbia concorso a cagionare il danno, prevede la diminuzione del risarcimento secondo la gravità della colpa e l'entità delle conseguenze che ne sono derivate").
2.3. Sull'efficienza causale della condotta spiegata dal Comune rispetto alla causazione del danno non può pertanto dubitarsi, e non è altresì sostenibile la tesi secondo cui l'eventus damni sarebbe stato in via esclusiva cagionato dalla sopravvenienza urbanistica ostativa rimasta in impugnata.
3.Le superiori considerazioni inducono altresì a ritenere integrato il requisito soggettivo ex art. 2043 cc, sotto il profilo della colpa grave (quando non anche, per il vero, della malafede) e certamente corretta la individuazione di una responsabilità risarcitoria, sotto il profilo dell'an debeatur.
Il Collegio condivide infatti l'insegnamento della giurisprudenza amministrativa che ha a più riprese affermato che "l' azione di risarcimento conseguente all' annullamento in sede giurisdizionale di un provvedimento illegittimo implica la valutazione dell' elemento psicologico della colpa, alla luce dei vizi che inficiavano il provvedimento stesso e della gravità delle violazioni imputabili all'Amministrazione, secondo l' ampiezza delle valutazioni discrezionali rimesse all' organo amministrativo nonché delle condizioni concrete in cui ha operato l' Amministrazione, non essendo il risarcimento una conseguenza automatica della pronuncia del giudice della legittimità."(Consiglio Stato, sez. IV, 01 ottobre 2007, n. 5052).
E" stato poi in passato osservato - e non v'è ragione per discostarsi da tale approdo - che, perché possa configurarsi la responsabilità della p.a. è sufficiente la colpa, anche lieve dell'apparato amministrativo (Consiglio Stato, sez. VI, 23 giugno 2006, n. 3981).
Invero la giurisprudenza ha avuto modo in passato di evidenziare il ridotto onere dimostrativo che grava in subiecta materia sul privato, atteso che "fermo restando l'inquadramento della maggior parte delle fattispecie di responsabilità della p.a., tra cui quella in esame, all'interno della responsabilità extracontrattuale, non è comunque richiesto al privato danneggiato da un provvedimento amministrativo illegittimo un particolare sforzo probatorio sotto il profilo dell'elemento soggettivo. Infatti, pur non essendo configurabile, in mancanza di un'espressa previsione normativa, una generalizzata presunzione (relativa) di colpa dell'amministrazione per i danni conseguenti ad un atto illegittimo o comunque ad una violazione delle regole, possono invece operare regole di comune esperienza e la presunzione semplice, di cui all'art. 2727 c.c., desunta dalla singola fattispecie. Il privato danneggiato può, quindi, invocare l'illegittimità del provvedimento quale indice presuntivo della colpa o anche allegare circostanze ulteriori, idonee a dimostrare che si è trattato di un errore non scusabile. Spetterà, di contro, all'amministrazione dimostrare che si è trattato di un errore scusabile, configurabile, ad esempio, in caso di contrasti giurisprudenziali sull'interpretazione di una norma, di formulazione incerta di norme da poco entrate in vigore, di rilevante complessità del fatto, di influenza determinante di comportamenti di altri soggetti, di illegittimità derivante da una successiva dichiarazione di incostituzionalità della norma applicata."(Consiglio Stato, sez. VI, 23 giugno 2006, n. 3981).
Non si ravvisano ragioni per discostarsi dal superiore orientamento, e la complessiva condotta dell'amministrazione deve essere valutata unitariamente e deve escludersi nel caso in questione alcuna ipotesi di "esimente" dal riscontrato stato colposo, essendosi la medesima, a più riprese, immotivatamente discostata da conformi indicazioni giurisprudenziali, ed avendo tenuto condotte (tra le quali, anche, la omessa difesa in sede di ricorso straordinario) che seppur non ex se censurabili in quanto rientranti nella libera determinazione dell'Ente sono ad avviso del Collegio dimostrative della consapevolezza della non linearità della statuizione revocatoria.
4.Tutte le ulteriori prospettazioni di parte appellante principale, in ultimo avanzate anche con memoria di replica, sono inaccoglibili, in quanto non incidono sull'an della responsabilità risarcitoria, ma semmai, rappresentano problematiche relative al quantum della medesima (asserita realizzabilità parziale del progetto, etc).
Il quantum debeatur non è stato minimamente delibato nella sentenza parziale gravata oggetto dell'odierna impugnazione, ma è stato quantificato mercè la decisione definitiva n. 1895/2010.
Quest'ultima però, al pari della prima appare immune da censure.
4.1. Nell'atto di appello, infatti, ci si duole della circostanza che il Tar abbia concesso a parte appellante una chance ulteriore di documentare il danno subito.
4.1.1.La censura appare del tutto destituita di fondamento alla stregua del condiviso principio secondo il quale (Cons. Stato Sez. V, 12062012, n. 3441) "in materia di responsabilità civile della P.A. grava sul danneggiato l'onere di provare, ai sensi dell'art. 2697 c.c., tutti gli elementi costitutivi della domanda di risarcimento del danno per fatto illecito. Quindi il privato danneggiato, ancorché onerato, in particolare, della dimostrazione della colpa dell'Ente pubblico, può offrire al Giudice anche elementi solo indiziari, quali la gravità della violazione, il carattere vincolato dell'azione amministrativa, l'univocità della normativa di riferimento e il proprio apporto partecipativo al procedimento. Deve inoltre fornire in modo rigoroso la prova dell'esistenza del danno, non potendosi invocare in proposito il c.d. principio acquisitivo, poiché il medesimo attiene allo svolgimento dell'istruttoria ma non anche all'allegazione dei fatti."
Parte appellata ha fornito tutti i referenti atti ad individuare una condotta colposa dell'Ente; ha indicato le spese sostenute, il possibile ricavo discendente dall'impianto, ove realizzato; il Tar ha delibato detti elementi nel pieno contraddittorio delle parti e non supplendo ad alcuna inerzia, ma semmai, valutando gli elementi offerti con completezza ed attenzione.
Non ritiene il Collegio si sia verificata alcuna inammissibile "supplenza" a deficit probatorio.
Per altro verso è appena il caso di precisare la praticabilità in simili ipotesi, della valutazione equitativa, che deve tenere conto della difficile quantificazione del danno da perdita di chanche, così come correttamente inquadrato dal Tar.
4.2. Passando invece alla quantificazione del danno risarcibile, premesso che il "concorso di colpa" del danneggiato ex art. 1227 cc è stato ravvisato -e valutato- dal Tar e che tale però non può certo ravvisarsi l'omessa richiesta di trasposizione da parte delle appellate società in sede di ricorso straordinario (laddove, invece, le stesse, lo si ricorda, avevano una posizione di cointeresse con il Comune che omise del tutto di difendersi) è bene sottolineare che l'appellante amministrazione comunale, oltre a dolersi (con considerazioni generiche ed apodittiche formulate in via ipotetica) in ordine al "dimezzamento" operato dal Tar, nulla altro ribadisce se non le considerazioni, già negativamente vagliate, secondo le quali l'eventus damni sarebbe stato determinato, in via esclusiva, dalla sopravvenuta disciplina urbanistica ostativa rimasta inimpugnata.
4.2.1. In contrario senso, ribadisce in proposito il Collegio che viene in rilievo un plurimo comportamento illegittimo del Comune, maturato in due riprese, e precedente rispetto alla introduzione nel sistema del nuovo assetto urbanistico che,semmai, solo a partire dalla sua introduzione ha reso impossibile la realizzazione dell'opera, non certo elidendo il danno meditotempore provocato, né tampoco costituendo elemento assorbente ed esclusivo.
5. Alla stregua delle superiori argomentazioni l'appello principale va integralmente disatteso, mentre tutti gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio da un canto ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso e per altro verso non delibabili, in quanto non contenuti nell'atto di appello ed illustrati soltanto in successive memorie.
6. Va adesso scrutinato l'appello incidentale proposto dalla Acquasport coop avverso la sentenza n. 1895/2010 in punto di quantificazione del danno (quantificazione che, ad avviso dell'appellante società, è stato eccessivamente ridotto rispetto a quello effettivamente spettante).
6.1. Nessuna di dette considerazioni (in parte simmetricamente speculari a quelle articolate dal Comune e per quanto chiarito prima infondate) appare persuasiva.
La prima di esse si fonda su un dato ipotetico e genericamente prospettato (l'asserita circostanza che nel 90% dei casi di procedure per promozione di opera pubblica il promotore si aggiudica l'opera medesima).
Senonché: di tale dato non v'è prova; esso anche ove provato pienamente sotto il profilo statistico oblia la pacifica evenienza che ogni procedura evidenziale ha una propria specificità, non apparendo sulla stessa traslabile l'esito di atra procedura; tale dato quindi, anche ove provato (il che non è, lo si ripete) non potrebbe né indurre ad attribuire l'integrale ristoro né - se non ricorrendo in presunzioni non corroborate da dati non ipotetici - ad incrementare la quantificazione della "chance" come riconosciuta dal Tar (censura avanzata in via subordinata dall'appellante incidentale).
L'utile di gestione è stato riconosciuto, di guisa che la ulteriore "posta" richiesta costituirebbe indebita duplicazione.
6.2. La sentenza parziale, non impugnata dall'appellante in parte qua, ha riconosciuto che, comunque il Pgt del 2008 spiega efficacia preclusiva: il dato non è seriamente contestato dalla ditta appellante incidentale, che anche in questo caso ricorre ad espressioni ipotetiche (pag. 18: "non sembra escludere"). In tale quadro, l'applicazione del disposto ex art. 1227 cc -sulla cui correttezza ci si è prima soffermati in relazione alle speculari doglianze del Comune- in relazione alla omessa impugnazione del medesimo appare conseguenza necessitata ed aderente alla consolidata giurisprudenza amministrativa.
Che poi vi fosse una pervicace volontà del comune di non realizzare l'opera si è già detto: ma ciò non può portare ad escludere che il dato relativo alla impossibilità di ottenere tutela reipersecutoria si leghi al sopravvenuto PGT del 2008 e che questo sia rimasto in impugnato.
Anche l'appello incidentale va pertanto disatteso, mentre non v'è luogo a pronunciarsi sulle altre censure in quanto articolate in via subordinata per l'ipotesi in cui l'appello del comune fosse stato accolto (come non v'è ragione di pronunciarsi sui riproposti motivi di censura di primo grado assorbiti, a cagione della integrale reiezione dell'appello principale proposto dal Comune).
6. Le spese seguono la soccombenza, mentre vanno compensate con riferimento alla posizione del Ministero. Il comune deve essere pertanto condannato al pagamento delle medesime in favore della società appellata, in misura che appare equo quantificare in Euro quattromila (Euro 4000) oltre oneri accessori, se dovuti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto,respinge l'appello principale ed in parte respinge ed in parte dichiara improcedibile l'appello incidentale.
Condanna il comune al pagamento delle spese processuali in favore della società appellata, in misura che appare equo quantificare in Euro quattromila (Euro 4000) oltre oneri accessori, se dovuti, e le compensa per il resto.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 aprile 2014 con l'intervento dei magistrati:
Giorgio Giaccardi, Presidente
Nicola Russo, Consigliere
Fabio Taormina, Consigliere, Estensore
Diego Sabatino, Consigliere
Oberdan Forlenza, Consigliere
DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 14 MAG. 2014



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