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Tribunale Amministrativo Regionale Campania - Napoli Sezione 1- Sentenza del 10 marzo 2010, n. 1351- Testo integrale

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DELLA CAMPANIA
SEZIONE PRIMA
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 65 del 2009, proposto da:
Consorzio Cooperative di Produzione e Lavoro Co., rappresentato e difeso dagli avv. An.Sc. e Ma.Lo., con domicilio eletto presso lo studio Er. in Napoli, via (...);
contro
Comune di Castellammare di Stabia, rappresentato e difeso dagli avv. Do.Ca., An.Fo. e Pi.Pe., con domicilio eletto presso la Segreteria del Tar;
per l'annullamento
- della determina dirigenziale del 15 ottobre 2008 numero 58020 con cui il comune di Castellammare di Stabia ha disposto la non aggiudicazione della concessione per la realizzazione e gestione dell'ampliamento del cimitero comunale ai sensi dell'art. 37 bis della legge numero 109/94 di cui alla proposta ATI Co. e A. s.r.l.; - nonchè ove occorra e nei limiti di interesse, del verbale di Conferenza di servizi del 9 maggio 2002, della nota del 9 maggio numero 275, del provvedimento dirigenziale della Regione Campania del 22 novembre 2004 numero 362, della nota del 4 giugno 2007 numero 611 e di ogni altro atto o provvedimento, antecedente o successivo e comunque presupposto, connesso e/o consequenziale; nonchè per il riconoscimento del diritto del Consorzio ricorrente al risarcimento in forma specifica mediante la concessione dell'affidamento, ovvero in subordine, al risarcimento per equivalente dei danni subiti e subendi a causa dei provvedimenti impugnati.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Castellammare di Stabia;
Viste le memorie difensive e tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 febbraio 2010 il dott. Michele Buonauro e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Il consorzio ricorrente ha partecipato alla procedura indetta dal Comune di Castellamare di Stabia per la realizzazione dell'ampliamento del cimitero comunale con le modalità previste dagli artt. 37-bis e ss. della legge n. 109 del 1994; con delibera commissariale n. 196 del 2001, la giunta municipale ha individuato di pubblico interesse la proposta presentata dal Consorzio come promotore.
A seguito dell'espletamento della gara, andata deserta, il consorzio promotore ha richiesto l'accertamento della illegittimità del silenzio serbato dall'amministrazione comunale sulla diffida ad aggiudicare il progetto messo a gara.
In ottemperanza alla sentenza resa da questa Sezione n. 10494 del 2006, l'amministrazione locale ha chiuso il procedimento con la determina dirigenziale n. 58020 del 15 ottobre 2008, non aggiudicando il progetto per mancanza di fattibilità determinata dalla esistenza di aree sottoposte a destinazione diversa rispetto a quella indicata nel progetto ai fini dell'ampliamento del cimitero comunale. Avverso tale determinazione è insorto il Consorzio ricorrente articolando le censure di incompetenza del dirigente, di illegittimità dell'atto di annullamento della procedura, nonchè per il risarcimento dei danni o, quanto meno, per la corresponsione dell'indennizzo ai sensi dell'art. 37 septies della legge 109 del 1994.
Si è costituito il Comune intimato, che ha concluso per la reiezione del ricorso. All'udienza del 24 febbraio 2010 il ricorso è trattenuto per la decisione.
DIRITTO
Occorre preliminarmente esaminare l'eccezione di tardività degli esiti della conferenza dei servizi spiegata dalla difesa comunale. Ed invero il Comune, al fine di mutare la destinazione delle aree incluse nel progetto di ampliamento (attualmente destinate alla sepoltura) ha richiesto alla regione l'accorciamento del periodo di rotazione delle sepolture (dai sette anni ordinariamente previsti a cinque anni). La compressione dei tempi di rotazione avrebbe consentito al Comune di destinare le due aree interessate alla realizzazione del progetto. L'amministrazione regionale ha concesso una riduzione del periodo turnario di soli sei mesi (vale a dire che il periodo di rotazione è stato fissato in sei anni e sei mesi), insufficienti per liberare le aree in questione.
Considerato che il ricorrente non censura la conclusione cui è pervenuta l'amministrazione comunale, nè la decisione adottata a livello regionale, il ricorso non può considerarsi tardivo.
La dedotta censura di incompetenza non merita favorevole valutazione. Pur condividendosi, in astratto, il principio del contrarius actus, vale evidenziare che nella specie, la competenza della Giunta si è esaurita nella valutazione dell'interesse pubblico connesso al progetto. Una volta ritenuto il progetto di rilievo per l'amministrazione, si apre una distinta fase della procedura finalizzata alla verifica di fattibilità dello stesso, in cui la valutazione in ordine alla congruità della proposta di project financing, trattandosi di attività di valutazione tecnica e di gestione conseguenziale ad una scelta già effettuata, spetta al dirigente ai sensi dell'art. 107 del t.u. 18 agosto 2000 n. 267.
Ed invero la scelta delle opere da offrire ai candidati promotori finanziari ha luogo mediante la individuazione delle stesse nell'ambito del programma triennale dei lavori, di competenza del Consiglio comunale, ove si consuma integralmente l'attività politica di scelta delle opere da finanziare mediante l'apporto dei privati; mentre la procedura operativa, nell'ambito della quale vi è la presentazione di un progetto completo, la sua valutazione, il suo inserimento a base d'asta, insomma tutta l'attività successiva è attività di gestione, vale a dire attività di valutazione tecnica consequenziale a quella scelta che, coerentemente e necessariamente, ai sensi del d.lg. n. 267 del 2000, è nella esclusiva competenza dei dirigenti (C.d.S., sez. V, 01 settembre 2009 , n. 5136).
Quanto alle restanti censure, esse non colgono nel segno.
È bene precisare, in linea generale che il tratto fondamentale dell'istituto del "project financing" è quello di porre a carico dei soggetti promotori o aggiudicatari, in tutto o in parte, i costi necessari alla progettazione ed esecuzione dei lavori, assicurando loro come unica controprestazione il diritto di gestione funzionale e sfruttamento economico delle opere realizzate. La normativa sopra richiamata, introdotta nella l. n. 109/1994, ha peraltro disciplinato l'istituto in maniera più scandita ed articolata rispetto allo schema tipico del "project financing", prevedendo due fasi logicamente e cronologicamente distinte: una prima, che può definirsi propriamente della "promozione di opera pubblica" (art. 37 bis, ter e quater; ora artt. 153, 154 e 155 d.lgs. n. 163 del 2006), in cui la p.a., sulla base del progetto presentato da un soggetto promotore, valuta la fattibilità della proposta ed il suo pubblico interesse; ed una seconda fase, del vero e proprio "project financing" (art. da 37 quinquies a 37 nonies; ora artt. 156 e ss del d.lgs. n. 163/06), in cui è analiticamente disciplinato il rapporto intercorrente tra la stessa p.a. ed il soggetto aggiudicatario, in regime di concessione.
In punto di fatto vale premettere che la decisione di eliminare la procedura avviata (ma non conclusa, perché interrotta nella fase precedente all'espletamento della convocazione per la stipula della concessione) è dipesa essenzialmente da una valutazione di non fattibilità del progetto, onde non si tratta di una revoca in senso proprio (che presuppone un ripensamento da parte dell'amministrazione deriva dal mutamento della situazione di fatto).
In ogni caso, anche a voler considerare l'atto gravato quale annullamento d'ufficio, in sede di adozione di un atto in autotutela da parte della P.A., la comparazione tra interesse pubblico e quello privato è necessaria nel caso in cui l'esercizio dell'autotutela discenda da errori di valutazione dovuti all'Amministrazione pubblica, non certo in via di principio quando lo stesso è dovuto a causa di comportamenti del soggetto privato che hanno indotto l'Autorità amministrativa ad emanare un atto risultato, poi, illegittimo (cfr. C.d.S., sez. V, 8 febbraio 2010 n. 592).
Nel caso in esame, infatti, il comune ha verificato che due zone destinate nel progetto all'ampliamento del cimitero (i campi E ed F) erano utilizzate come aree destinate alla sepoltura, in conformità alla disciplina introdotta dal locale piano cimiteriale.
A fronte di tale ostacolo alla realizzazione del progetto, l'amministrazione comunale ha cercato una soluzione alternativa, chiedendo alla regione una deroga all'obbligo di turnazione settennale delle sepoltura, al fine di riutilizzare le aree in esame. Come detto, l'organo sovraordinato ha concesso una riduzione temporale insufficiente a consentire la liberazione dei terreni.
In questa prospettiva, non ha rilievo la circostanza che sia trascorso un significativo lasso di tempo dall'inizio della procedura, trattandosi di effettuare una verifica di fattibilità del progetto che non può essere sottoposta a limiti temporali.
Né può valere in contrario la sussistenza di una delibera giuntale (n. 196 del 2001) che ha approvato il progetto ritenendolo conforme alla normativa vigente e, in particolare, al piano cimiteriale. Da un alto, infatti, la presentazione di un progetto di massima non consente di verificare con massima precisione la completa realizzabilità dell'opera; dall'altro la proposta di project financing viene ad integrare una scelta, effettuata dall'amministrazione in sede di programmazione, basata unicamente su semplici studi di fattibilità, mentre gli esatti contorni dell'opera da realizzare vengono delineati, in tutti i suoi aspetti, soltanto nella proposta fatta dal promotore. Ed infatti il Comune, fin dalla determina dirigenziale n. 68 del 6 maggio 2002, ha chiesto al promotore di rendere una puntuale dichiarazione circa la "realizzabilità del progetto anche in relazione al terreno, al tracciamento, al sottosuolo e alla disponibilità delle aree", specificando, nei punti di trattativa, la necessità di "avviare il procedimento di tutte le varianti al piano cimiteriale, se necessarie".
D'altra parte dalla disamina della interlocuzione fra l'amministrazione ed il privato emerge che quest'ultimo fosse ben a conoscenza, quanto meno a far data dal 2002, di un ostacolo preciso alla realizzazione del progetto (la destinazione dei campi E e F a tumulazione), tanto che ne ha richiesto al Comune la rimozione. Il Comune, nonostante i tentativi di reperire una soluzione che consentisse la realizzabilità del progetto (indizione di una conferenza dei servizi e richiesta alla regione di riduzione del turno di rotazione delle esumazione), ha verificato l'attuale mancanza di fattibilità del progetto.
Dunque a fronte di un comportamento certamente superficiale del Comune, che in sede di valutazione del progetto e di indizione della gara avrebbe dovuto esaminare con maggior cura l'assentibilità dell'opera, non può sottacersi la posizione della cooperativa ricorrente che, fin dal principio, conosceva o doveva conoscere la destinazione delle aree in cui ricadeva il progetto. Pertanto la stessa cooperativa avrebbe potuto presentare, tempestivamente, un progetto alternativo, o quanto meno una variante, che consentisse di superare l'ostacolo alla realizzabilità del progetto.
Sul punto se è vero che l'amministrazione può richiedere al promotore la presentazione di modifiche o varianti al progetto, nei limiti in cui non venga modificato il nucleo essenziale dello stesso, deve anche sottolinearsi come tale apporto collaborativo non costituisca un dovere assoluto in capo alla pubblica amministrazione, specialmente nei casi - come nella specie - in cui le modifiche progettuali da operare appaiono tutt'altro che marginali. Inoltre vale evidenziare che la presentazione di modifiche o varianti può essere ammessa nel corso della prima fase della procedura (in cui si verifica la rispondenza del progetto al pubblico interesse), mentre è molto più ridotta quando l'amministrazione, sulla base di quello specifico progetto, abbia indetto la gara per l'individuazione del concessionario.
Ed invero il project financing è una tecnica finanziaria che, da una parte, consente la realizzazione di opere pubbliche senza oneri finanziari per la p.a.; dall'altra si sostanzia in un'operazione economico-finanziaria, idonea ad assicurare utili che consentano il rimborso del prestito e/o finanziamento e la gestione proficua dell'attività. Tale fisionomia dell'istituto comporta l'impossibilità di mutare l'impostazione strutturale della proposta del privato dopo l'approvazione, perché tanto rischierebbe di alterare i profili di equilibrio economico-finanziario dell'operazione, introducendo elementi d'incertezza (C.d.S., sez. VI, 09 giugno 2005, n. 3043).
Né può valere a scalfire le conclusioni evidenziate il lungo lasso di tempo trascorso fra l'approvazione del progetto (risalente al 2001) e la chiusura della procedura. La significativa dilazione temporale trova giustificazione, fra l'altro, in vicende esterne alla procedura amministrativa (sequestro in sede penale), nonché in virtù del tentativo operato dal Comune di liberare i campi E ed F dalla destinazione originaria. Pertanto, sulla base delle considerazione esposte, le censure devono ritenersi infondate.
La persistente validità del provvedimento di mancata aggiudicazione della procedura di project financing incide inesorabilmente sulla fondatezza della richiesta risarcitoria. Ed invero, in disparte ogni considerazione in merito alla questione della cd. pregiudiziale amministrativa, va condiviso l'orientamento, recentemente ribadito dal Consiglio di Stato, secondo cui la presenza di un provvedimento amministrativo non rimosso impedisce la qualificazione dei pregiudizi da esso derivanti in termini di ingiustizia (Consiglio Stato, sez. VI, 03 febbraio 2009 , n. 578).
D'altre parte, anche ai fini della valutazione dell'amministrazione sotto il profilo privatistico della correttezza negoziale, vale ribadire che non vi è stato alcun consolidamento della posizione contrattuale (o precontrattuale) del promotore, il quale ha presentato il progetto (assumendosi il rischio che non venisse giudicato conforme all'interesse pubblico), ha avuto accesso alla prima fase del procedimento di project financing (mediante la dichiarazione di pubblico interesse del progetto) ed all'indizione della successiva gara. Il provvedimento dell'amministrazione locale è intervenuto dunque in una fase ancora prodromica, in cui il procedimento amministrativo non si era affatto concluso, ben prima del sorgere di alcun vincolo contrattuale.
La posizione del promotore, che si assume oltre che il rischio economico anche quello amministrativo, è esposta al dovere permanente di verifica di fattibilità del progetto presentato.
Pertanto, in considerazione dello stato di avanzamento della procedura di project financing e della ragione tecnica di caducazione dell'intervento, il promotore non vanta alcuna posizione qualificata, come peraltro confermato dall'orientamento secondo cui "in presenza di una revoca legittima della procedura di realizzazione e concessione dell'opera pubblica per mezzo del project financing, il soggetto promotore, rispetto a tutti gli atti emanati successivamente dall'amministrazione per realizzare e gestire medesimo intervento per mezzo della costituzione di una società mista, è portatore di un interesse di mero fatto" (Consiglio Stato , sez. VI, 10 maggio 2007 , n. 2246).
Infine non risulta pertinente la richiesta di rimborso ai sensi dell'articolo 37 septies della legge 109 del 1994. La norma di cui di cui all'art. 37 septies comma 1, lett. c), l. 11 febbraio 1994 n. 109 è riferita all'ipotesi in cui il concedente legittimamente rimuova, per oggettive e sopravvenute ragioni di pubblico interesse, l'atto concessorio trattandosi di disposizione chiaramente tesa a porre il concessionario al riparo degli effetti rivenienti da una possibile rivalutazione dell'interesse pubblico, prevedendo a suo favore un obbligo di tipo strettamente indennitario (nel senso che a questa espressione è comunemente assegnato dalla dottrina civilistica, di "responsabilità da atto lecito"); essa, pertanto, non può trovare applicazione nei casi, non di ritiro dell'atto per motivi sopravvenuti bensì, di annullamento o di mancata positiva conclusione della procedura di project financing (cfr. T.A.R. Puglia Bari, sez. I, 21 novembre 2007, n. 2766).
Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, Sede di Napoli - Sezione Prima, respinge il ricorso in epigrafe. Condanna il Consorzio Co. alla refusione delle spese processuali sostenute dal comune di Castellammare di Stabia che si liquidano in complessivi Euro duemila.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 24 febbraio 2010 con l'intervento dei Magistrati:
Fabio Donadono - Presidente FF
Francesco Guarracino - Primo Referendario
Michele Buonauro - Primo Referendario, Estensore
Depositata in Segreteria il 10 marzo 2010.



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